MONTE ATHOS (GRECIA)
settembre 2013
Sono giunto ieri sera ad
Ouranopolis, ultima avamposto greco, dopo 2 ore di autobus da Salonicco,
attraversando le campagne della Macedonia verso la penisola calcidica, il
tridente di Poseidone che si allunga nell’Egeo settentrionale. Si respira aria
di frontiera, con tanta gente indaffarata e negozi con souvenir sacri e profani;
una tranquilla cenetta sul mare, pomodori ripieni di feta e polpo alla griglia,
a due passi dalla grande torre bizantina che domina la città, e poi a dormire
nell’accogliente hotel Xenios Zeus, come consigliato dalla guida per il
pellegrino dell’associazione Friends of Mount Athos. La mattina, zaino in
spalla, mi reco al Pilgrim’s Bureau, dove viene rilasciato il tanto sospirato
Diamonitirion, il famoso documento che
ti permette l’accesso all’Aghion Oros, la sacra montagna del Monte Athos. Avevo cominciato con
6 mesi di anticipo a
chiedere il rilascio del permesso, considerando che solo 10 non- ortodossi al
giorno vengono autorizzati, e che solo il 22 agosto, dopo un’ennesima
telefonata, mi arrivava la mail di conferma di Christos, dall’ufficio centrale
di Salonicco, quando ormai avevo quasi perso la speranza. Alle 7,30 entro
nell’ufficio,
ci sono alcuni pellegrini greci ed esteuropei,
pago i 30 € e ricevo la mia pergamena, tutta scritta in greco, nella quale oltre
al mio nome riesco a capire solo katholikon e Italia,
Alcuni pellegrini si fotografano orgogliosi con
il permesso appena ottenuto. Mi reco quindi in porto per comprare il biglietto
per il battello che va da Ouranopolis al piccolo porto di Daphni; rimango
sorpreso dal fatto che alcuni monaci saltino la fila e vanno direttamente allo
sportello. Ho tutto il tempo per farmi la colazione, visto che nei prossimi
giorni dovrò farmi bastare quello che “passa il convento”….. Nello zaino ho
messo anche qualche barretta e della frutta secca per le emergenze. Alle 9,45
parte il battello , che oltre ai passeggeri porta anche camion e merci
ingombranti. Prima di farci salire ci controllano accuratamente passaporti e
Diamonitirion. Le donne rimangono a
riva a salutare i congiunti che se ne vanno in ritiro sulla penisola. La barca
lascia la bella torre bizantina di Ouranopolis e si dirige lentamente lungo la
costa verso il dito più esterno della penisola calcidica, dominato dalla mole
degli oltre 2.000 metri del Monte Athos. Faccio subito conoscenza con 2 serbi
che si stanno recando al monastero di Chilandari, dove risiede appunto una
comunità di monaci provenienti dalla Serbia. Dopo un’ora circa di navigazione si
cominciano ad intravedere le prime costruzioni, delle vere e proprie fortezze ,
con mura di fortificazione, sormontate da cupole bizantine. Ad ogni monastero il
ferry-boat si ferma e scarica pellegrini e mercanzie varie. Particolarmente
imponente è il monastero di san Pantaleimonos, sede di una comunità di monaci
russi, dove tra gli edifici di mattoni svettano un campanile e svariate cupole
verdi stile Cremlino.
Alle 12 in punto attracchiamo al porticciolo
di Daphni, principale porta di accesso all’Athos, dove c’è un bar taverna, un
emporio, un ufficio postale e poco altro. Non mi attardo troppo in questo
porticciolo, ma corro a prendere un autobus che mi porti a Karyes, il capoluogo
della repubblica monastica. Salgo di corsa su un vecchio autobus pieno di
monaci, che per tre quarti d’ora si inerpica all’interno della penisola tra
castagneti e noccioleti. Superate le cupole dell’eremo di Sant’Andrea, veniamo
scaricati nella via principale, con qualche negozio e taverna. Nell’unica
piazza, davanti
al palazzo del governo, sorge la chiesa del
Protaton, la più antica
chiesa
dell’Athos. Entro nella basilica attraverso un portico completamente affrescato
con figure bizantine; la chiesa è anch’essa completamente ricoperta di affreschi
risalenti al tredicesimo secolo. Osservo i pellegrini rendere omaggio con
devozione alle icone, che vengono baciate in maniera molto sentita, dopo essersi
ripetutamente fatti il segno della croce con le tre dita, e lo spirito santo a
destra a differenza di noi cattolici che lo facciamo a sinistra. Accanto alla
chiesa si erge una torre campanaria, a strisce bianche e rosse. Prima di
mettermi in cammino, mi rifocillo in una taverna con un panino feta e pomodori
ed un caffè greco. La mia destinazione per la giornata è il monastero di
Stavronikita, sito sulla costa opposta rispetto a quella sulla quale sono
arrivato. Mi rendo conto della totale assenza di indicazioni , e sono costretto
a chiedere informazioni all’uscita di Karyes.
Mi
incammino con il mio zaino sulle spalle su una strada sterrata verso il mare,
che circonda una foresta di verde
lussureggiante, sulla quale svetta imponente la vetta del Monte Athos . La
passeggiata è bellissima, immerso in una natura ed in un silenzio quasi irreali.
Dopo poco più di un’ora giungo in vista del monastero di Stavronikita, una vera
e propria fortezza medievale, immersa in un contesto naturale straordinario ed a
picco sul mare. Rimango a bocca aperta man mano che mi avvicino; fino ad adesso
non ho incontrato anima viva. Mi addentro piano piano in questo scenario
fiabesco, assaporando l’atmosfera e la bellezza del posto, costeggiando un
bellissimo aranceto, e subito dopo un grande acquedotto con le vasche piene di
ninfee.
Cammino sotto un pergolato carico di grappoli d’uva
dorati, e davanti ad un affresco di san Giorgio si apre la porticina di una
piccola stanza, dove un anziano monaco barbuto mi invita a lasciare fuori la
zaino e ad entrare per riposarmi. Lascio fuori lo zaino, e mi siedo mentre il
monaco mi offre un bicchiere d’acqua e un lokum,
un piccolo dolce gommoso. Anche se la conversazione è molto difficile, visto che
parla solo greco, dopo un po’ mi indica la foresteria e mi
fa
capire con le dita che dovrò dormire al terzo piano nella camera sei. La
foresteria è un bellissimo edificio di legno costruito su una roccia a picco sul
mare; dal piano si gode una fantastica vista sulle cupole del monastero e sul
Monte Athos. Divido la cameretta a tre letti con un russo di nome Victor; dalla
stanza si sente il rumore delle onde che si infrangono sulle rocce. Subito
accanto che c’è uno studiolo in legno con una biblioteca, con finestre su due
lati dalle quali si vede tutta la costa orientale della penisola, uno spettacolo
mozzafiato. La bellezza e il silenzio del posto mi conquista, vado in
perlustrazione dei luoghi in preda ad una esaltazione mistica.
Mentre mi godo il riposo sotto il pergolato
arriva Tim, un dermatologo greco emigrato in Australia; Tim è da giorni sul
Monte Athos, insieme a Niko, il fratello autistico di 32 anni, un ragazzo
dolcissimo che continua a ripetere sempre le stesse frasi. Tim , pur nella sua
consapevolezza scientifica di medico, cerca conforto nelle parole dei monaci
alla grave malattia del fratello. Facciamo subito amicizia. Nel frattempo il
monaco che mi accolto mi richiama, e mi offre in dono una croce da mettere in
macchina per protezione; mi parla in greco e mi invita a pregare; scoppio in un
pianto a dirotto, liberatorio ei sento svanire tutte le negatività che mi
portavo dietro dall’Italia.
Mi
risveglia il rumore del talanton,
portato in spalla da un monaco, legno che batte su legno e che invita a recarsi
in chiesa per la preghiera:
questo rumore ha un sapore ancestrale, arcano.
Come tutti i monasteri sul Monte Athos, Stavronikita contiene al suo interno il
Katholikon, ossia la chiesa
principale; l’edificio è interamente ricoperto da affreschi del famoso pittore
della scuola cretese Teofane, uno vero spettacolo. Incomincia il rito e mi siedo
in fondo su una sedia con lo schienale alto come fanno altri pellegrini. Non
capisco granché della liturgia e dopo una ventina di minuti me ne esco e vado a
rilassarmi sotto il pergolato. Come suggerito da Tim ritorno insieme a lui verso
la fine per accendere delle candele e rendere omaggio alle icone. Non appena i
monaci escono in processione, vengo invitato nella
trapeza, il refettorio, anch’esso
splendidamente affrescato, e mi siedo vicino ad altri pellegrini. Nel piatto
avanti a me trovo una zuppa di ceci , ci sono del pane e delle olive nere da
condividere con gli altri. Si mangia molto velocemente , senza parlare, e si
torna in chiesa per una ultima benedizione , durante la quale vengono esposte le
reliquie. Al termine delle funzioni, ci troviamo tutti monaci e pellegrini,
sotto il pergolato a godere degli ultimi raggi di sole, ammirando il mare e la
bellezza della natura. Tutta trasuda pace e serenità. Conosco tre pellegrini
greci di Siros, e mi raccontano tutto
della loro isola, compreso che c’è un teatro che è una copia in miniatura della
Scala di Milano, mi riprometto di farci un viaggetto. Nel frattempo, neanche a
farlo apposta è sorta la luna piena, che illumina di argento tutto il mare
sottostante. Un monaco ci fa segno che stanno per chiudere le due porticine di
ingresso del monastero e pertanto è ora di recarsi a dormire.
Sto dormendo profondamente quanto
sento il battere del talanton, Victor
si alza e io guardo l’orologio sono le tre di notte; nel Monte Athos non solo
vige ancora il calendario giuliano, ma anche le ore vengono calcolate
diversamente e la mezzanotte coincide con il tramonto del sole e quindi per loro
sono le circa le sei del mattino. Rimango a dormire; quando mi alzo il sole deve
ancora sorgere, preparo lo zaino e scendo in chiesa dove stanno terminando i
riti. Di colazione neanche a parlarne…. La mattinata è limpidissima ed insieme a
Tim e Niko vediamo il sole emergere dall’azzurro del Mar Egeo, sulla linea
dell’orizzonte la sagoma dell’isola di Samotracia: è ora di mettersi in cammino,
il mio itinerario prevede di raggiungere a piedi il monastero di Iviron e da lì
in battello fino a Megisti Lavra, il monastero più grande e più antico del
monte. Saluto Tim, con il quale ci diamo appuntamento a Salonicco, e due monaci,
che mi salutano abbracciandomi.
Il
sentiero che va ad Iviron corre lungo la costa, che funge anche da orientamento,
visto che le indicazioni scarseggiano. Lungo la strada si incontrano delle
bellissime torri, alcune delle quali ristrutturate di recente e si attraversano
spiagge selvagge con l’acqua trasparente, come la migliore Grecia insulare.
Sembra veramente di stare nel giardino della Vergine Maria, come narra la
leggenda di Athos, e che serve a giustificare il divieto di accesso ad ogni
essere vivente di sesso femminile. Dopo un’ora di cammino giungo in vista di una
torre e di una arsanas
(piccolo porticciolo); sono giunto ad Iviron, e passata una grossa falegnameria
ed enormi cataste di legno mi si apre la visione del monastero, una vera e
propria fortezza inespugnabile, che si erge con contrafforti e cupole colorate
sopra delle enormi mura di mattoni a vista. A quest’ora della giornata la luce
del mattino avvolge la cittadella in una atmosfera sfumata; mi incammino da solo
per i bellissimi acciottolati in salita fino all’ingresso monumentale, così
diverso dalla piccola porta in legno di Stavronikita. Mi ritrovo in un
grandissimo cortile al cui interno sono situati tutti i principali edifici;
lasciato lo zaino e mangiata una barretta della scorta di cibarie, entro in una
piccola cappella a destra. Qui un monaco molto gentile mi conduce a visitare la
più importante icona del monastero, la Panaghia Portaitissa, un’immagine della
Vergine che si fa risalire all’evangelista Luca, che sembra sia giunta ad Iviron
galleggiando sul mare, dopo essere stata salvata da una vedova dalla furia degli
iconoclasti: l’icona è tutta ricoperta di oro e di argento ad eccezione dei
visi, anneriti dalla patina del tempo.
L’icona è particolarmente venerata dai russi
che ne hanno una copia a Mosca; si dice che sia venuto anche Putin ad adorarla.
Alcuni monaci russi intonano dei canti con voce profonda. Mi viene spiegato che
il monastero prende il nome dai fondatori provenienti dalla Georgia , ovvero
l’Iberia caucasica. Il padre mi conduce a visitare il Katholikon, anch’esso a
croce greca ed interamente ricoperto di fantastici affreschi e mi mostra due
colonne provenienti da un preesistente tempio greco, e lavorate per togliere le
scanalature solo nella parte visibile. Chiedo senza successo di poter visitare
la biblioteca che ho letto essere tra le più ricche di antichi volumi e codici
miniati e ringraziato il padre mi vado a riposare presso il
phiale, una fontana sormontata da una
struttura ottagonale con cupola, usata per la
cerimonia di benedizione delle acque. Qui conosco Alexander, un distinto signore
tedesco che è stato sull’Athos più di venti volte. Mi dice che per oggi il
battello non ferma alla grande Lavra e pertanto l’unica maniera per raggiungere
il monastero è un pullmino che dovrebbe partire intorno all’una e si offre di
telefonare per riservarmi un posto. Nel frattempo giunge un monaco altissimo
dalla lunga barba ed i capelli raccolti in una lunga treccia, che ci invita ad
unirsi a loro per il pranzo che sarà consumato alle ore 10,30.
Entriamo
in un grandissimo refettorio interamente ricoperto di affreschi e ci sediamo
intorno a dei lunghissimi tavoli di marmo. Dopo la preghiera un monaco continua
a leggere le scritture, ed io posso gustarmi il pasto costituito da due peperoni
ripieni di riso, un uovo, pane ed una torta di verdure; c’è anche un bicchiere
di vino rosso. Tutti i prodotti provengono dagli orti che circondano Iviron, ed
i sapori sono accattivanti. Dovendo aspettare l’una, Alexander mi propone un
bagno a mare.
Avevo letto che le regole dei monaci
proibiscono la balneazione, e rimango stupito che un tedesco proponga ad un
italiano di fare una cosa vietata. Ma accetto ben volentieri, e dopo una ventina
di minuti di camminata ci ritroviamo su una bellissima spiaggia deserta , e dopo
essermi messo in mutande mi tuffo nell’acqua cristallina dell’Egeo…
wie im Elysium sein!
All’una
siamo in attesa dei mezzi di trasporto insieme ad altri pellegrini; dopo più di
mezz’ora giungono due mezzi
scassati
e litighiamo su chi abbia il diritto a salire per prima; riesco a prendere posto
e dopo tre quarti d’ora tra sterrati, in mezzi ai boschi e a fantastici scorci
di mare, veniamo scaricati davanti all’ingresso della Grande Lavra, il monastero
più antico, fondato dal monaco Attanasio , e
quindi il più importante nella rigida gerarchia della repubblica monastica. Si
presenta come una cittadella medievale circondati da mura e torri.
Mi
dirigo verso la foresteria, dove trovo numerosi pellegrini in attesa di
sistemazione. Rispetto al piccolo monastero di Stavronikita qui sembra tutto
molto più organizzato; oltre all’acqua e ai dolci mi vengono offerti un
bicchierino di acquavite e del caffè.
Dopo
un po’ di attesa vengo sistemato in una grossa camerata insieme ad alcuni
ragazzi ucraini, di cui uno è un sacerdote, e che si apprestano il giorno
successivo a salire in vetta al Monte Athos.
Vista
la bella giornata, decido di fare una passeggiata al di fuori del monastero
verso il mare, tra la vegetazione mediterranea, gli ulivi e gli scorci di costa
rocciosa. Quando rientro alla Lavra sono già cominciati i riti pomeridiani, e ne
approfitto per aggirarmi con calma all’interno, tra le tantissime cappelle, le
abitazioni, i giardini e le botteghe.
Non
mi faccio cogliere impreparato ed al termine dei riti, mi dirigo insieme agli
altri pellegrini nel refettorio dove consumo il pasto serale tra affreschi
seicenteschi dell’ultima cena e del giudizio universale. Dopo cena chiedo ad
Alexander di indicarmi la strada che dovrò affrontare il giorno successivo , e
lui mi accompagna per mostrarmi il sentiero, dopo aver visitato una cappella
piena di teschi e di ossa, in pratica l’ossario del monastero.
Alla Lavra come in tutti i monasteri c’è un
chiosco, situato in una posizione con vista particolarmente suggestiva, dove
monaci e visitatori si attardano al tramonto, rilassando la mente ed il corpo
mentre la natura ed il mare offrono il loro spettacolo migliore.
Conosco
padre Dimitrios, che prima di farsi monaco era imbarcato su grosse navi e
pertanto conosce un po’ di italiano ed il porto di Genova. In particolare mi
chiede del papa, che lui da bravo ortodosso non ha in grossa considerazione e
stima e mi ricorda come il diavolo si serva dei soldi per corrompere il cuore
degli uomini. Rimaniamo a parlare fino a che fa buio, e prima che chiudano le
porte me ne vado nel dormitorio a riposare.
Oggi mi attende la tappa più impegnativa dell’intero viaggio, ossia la traversata a piedi dalla Lavra fino a Santa Anna, dalla costa orientale a quella occidentale, attraverso i monti e la parte più selvaggia della penisola. Pertanto alle 7 sono già in cammino e quando esco dalle mura della Lavra il sole sta facendo capolino tra le nubi sul mare. Dopo aver camminato tra i campi coltivati ed i frutteti del monastero imbocco tra la vegetazione il sentiero che mi aveva indicato Alexander; da lì in poi me la devo cavare da solo, stante le scarse e a volte scolorite indicazioni per ΑΓΙΑ ΑΝΝΑ . Il sentiero sale in mezzo alla vegetazione e dopo circa un’ora di cammino giungo ad un passo da dove si gode di nuovo la vista del mare e delle propaggini meridionali dell’Athos. Il cielo è coperto da nubi e questo rende più piacevole e meno faticoso il mio trekking. Continuo il mio cammino inoltrandomi in un bosco di castagni e dopo un’altra ora incontro le prime persone, due ragazzi russi che si stanno dirigendo verso la vetta del monte. Mi rendo conto che è stato un po’ azzardato spingermi fin qui da solo, e per esorcizzare i rischi continuo a farmi il segno della croce sia alla maniera cattolica che a quella ortodossa! Il sentiero è pieno di fiori selvatici. Mi capita di imbattermi in un bivio senza indicazioni e procedo ad intuito guardando la mappa che avevo comprato ad Ouranopoli. Ogni volta che trovo una indicazione per Aghia Anna mi sento rassicurato; ad un certo punto mi inoltro in una zona molto più rocciosa e scoscesa; mi rendo conto di essere arrivato nella zona più dura ed inospitale il cosiddetto deserto dell’Athos, eremos in greco, dove da sempre vivono coloro che invece delle comunità cenobite hanno scelto di vivere in solitudine. Poche abitazioni in pietra e una chiesetta con la tomba di un monaco, mi inoltro ma non c’è traccia di essere vivente. L’apparire di falesie sul mare a sud mi fanno rendere conto che sto andando in direzione esattamente opposta, e devo tornare in salita sui miei passi. Cammino a ritroso fino ad un bivio che non avevo visto e riprendo il sentiero. Verso mezzogiorno arrivo accaldato ad un passo dove convergono più sentieri e dove è collocata una grande croce in legno dalla quale si gode un panorama mozzafiato di Athos In basso gli edifici e le cupole di sant’Anna e a seguire il profilo frastagliato della costa occidentale. Da questo momento in poi la strada è letteralmente tutta in discesa e dopo un’ora giungo in prossimità di sant’Anna, che non è uno dei venti monasteri principali, ma uno skita, ossia una piccola comunità di monaci singoli che ricade sotto la giurisdizione di un monastero principale. Entro nel piccolo cortile in cerca di una sistemazione e un po’ di ristoro dopo 6 ore abbondanti di camminata; nel piccolo cortile ci sono gli edifici principali , alcune fontane per l’acqua ed un fantastico balcone a strapiombo dal quale si gode una vista a 360 gradi sulla costa sudoccidentale dell’Athos. Purtroppo i monaci fanno una pausa dalle 12 alle 3, per cui non riesco a sistemarmi in camera e a lavarmi. Giungono molti pellegrini, a piedi e con il battello, e capisco che la piccola foresteria è molto ambita, in quanto costituisce il miglior punto di partenza per la salita alla vetta. Mi intrattengo con un gruppo di russi, che non parlano neanche un parola di inglese, ma che scoppiano in enormi risate al solo nominare Putin e Berlusconi. Alle tre finalmente escono i monaci, che a differenza degli altri monasteri sono molto più giovani ed anche gioviali. Dopo la solita e gradita accoglienza a base di acqua, dolci, acquavite e caffè, mi viene indicata una piccola camera a 4 letti, che condivido con un signore che fa l’ingegnere civile a Belgrado e come benvenuto mi offre una fiaschetta con della vodka. Mi chiede cosa spinge un cattolico ad andare in pellegrinaggio sull’Athos, e gli racconto che non mi sono mai sentito tanto vicino a Dio. Esco per esplorare i dintorni e faccio una lunga passeggiata per ammirare i bellissimi panorami e la vegetazione particolarmente lussureggiante. Quando rientro ci sono tre ragazzi greci che non hanno trovato posto , ma hanno ottenuto di dormire per terra con i sacchi a pelo. Faccio amicizia con Kostas, che fa il cuoco in un ristorante greco della Baviera, e pertanto riusciamo a comunicare io con il mio tedesco del Goethe Institut e lui con il suo da Gastarbeiter (lavoratore ospite)!. Veniamo invitati ad entrare in chiesa per la funzione, al termine della quale procediamo nel refettorio dove ci aspetta una gustosa zuppa di lenticchie, pane e pomodori. Si mangia velocemente come al solito, per poi ritrovarci tutti , monaci e pellegrini sulla terrazza ad aspettare il tramonto. Kostas mi racconta della sua vita da emigrante, della sua passione per la Ducati e per tutte le moto italiane, del cielo tedesco sempre così scuro e della nostalgia per la Grecia. Mi parla della luci che si intravedono sul secondo dito della Calcidica , delle discoteche e dei locali che sono lì, così in contrasto con il mondo dell’Athos. Andiamo avanti a parlare come vecchi amici fino a quando è tutto buio e rientro in stanza con il serbo che russa come una locomotiva.
Ultimo giorno, oggi scade il mio
diamonitirion! Alle 6 e trenta sono già sveglio, ed alle 7 mi
affaccio in chiesa dove si stanno officiando i riti mattutini. Alle 8 siamo
tutti pronti a partire, e cosa molto gradita, vengono portati del caffè e dei
biscotti, a conferma dell’ospitalità e della buona nomea di santa Anna. Saluto
Kostas ed i ragazzi greci e mi metto nuovamente in marcia. La strada scende
dolcemente fino ad un altro skita, su
un sentiero pietroso, dove incontro anche due monaci a dorso di mulo.
La strada continua fino a che non si giunge in
vista dell’imponente mole del monastero di Agios Pavlos, dal nome dell’anacoreta
che visse in questo luogo. Dalla spiaggia salgo fino all’ingresso principale
dove entro. Un monaco che mi vede curiosare con la macchina fotografica mi
intima perentoriamente di riporla nello zaino e recarmi in chiesa. Oggi è sabato
ed è in corso il rito della comunione; in fondo alla chiesa sono posti del pane
benedetto e dei dolci. Osservo il rito e la gente che si reca a ricevere il
sacramento. In ultimo viene portato per essere benedetta anche una teglia con
una torta. Al termine della funzione un monaco che parla inglese mi invita ad
unirmi a loro per il pranzo nel refettorio, ed accetto ben volentieri. Il pranzo
è da giorno festivo, in quanto viene servito un filetto di pesce aromatizzato
con contorno di verdure e zucchine. Al termine del pranzo viene offerto a tutti
un pezzo del dolce che era stato benedetto durante la messa, una specie di
pastiera al gusto di zenzero. Dove aver visitato per bene il monastero mi
rimetto in cammino, ritornando sulla spiaggia dove c’è una vecchia torre di
avvistamento. Da
qui parte si inerpica un sentiero tra le rocce che sembrano invalicabili, e dopo
un po’ di dura salita mitigata dalla bellezza dell’azzurro del cielo e del mare
giungo in vista della mia ultima meta, il monastero di Dionysiou, imponente e
costruito su una roccia a picco sul mare. Attraverso campi coltivati giungo
all’ingresso e dopo un breve giro all’interno salgo nella foresteria e
attraverso un corridoio che porta ad una veranda affacciata sul mare, dal quale
si gode una vista superba. Vengo invitato in una
piccola libreria, dove mi registro e dove mi
vengono portati gli immancabili doni di ospitalità. Chiedo informazione sui
traghetti, e mi viene detto che essendo oggi festivo, l’ultimo traghetto
disponibile parte all’una. Questo mi coglie di sorpresa, e recuperato lo zaino
mi metto a correre verso il porto, dove si sta avvicinando il piccolo ferry boat
Aghia Anna. Non ho neanche il tempo di assaporare le ultime sensazioni di Athos
mentre la barca si dirige verso la punta della penisola per poi far rotta
nuovamente su Daphni.
Qui devo scendere per il controllo dei
bagagli, prima di lasciare l’Athos, ed infine mi imbarco per l’ultima tratta di
viaggio verso Ouranopolis. IL viaggio è terminato e mi attende il ritorno alla
normalità tra ristoranti, negozi , il wi-fi e tutti i confort della modernità.
Non sarà facile staccarmi dalla bellezza e
dalla spiritualità del monte Athos, con la
consapevolezza acquisita che il nostro inquieto
viaggiare, nella più completa accezione dantesca del termine, non è altro che
una
faticosa e continua ricerca di Dio.