NEL BLU DIPINTO DI
BLU, IO VAGABONDO TRA LE CICLADI
11 giugno, Amorgos
Ho fatto la colazione al
Pelican, dove alloggio una decina di giorni ogni anno ormai dal lontano 2008,
chiacchierando
come al solito con Sofia, davanti alla ciotola ricolma di yoghurt e miele.
Dopo aver salutato Paolo, che se ne torna in
Italia, sono salito sul pullmino dell’albergo che mi ha
scaricato
al vecchio porto di Mykonos, dove alle 9, 40 in punto è comparso il traghetto
veloce Super Jet: tre ore di tranquilla navigazione con scalo a Paros, Naxos e
Koufonissi prima di giungere alle 12,30 a Katapola, il porto principale di
Amorgos, l’isola più orientale delle Cicladi, tutta protesa verso il Dodecaneso.
Sbarcato dal traghetto, mi ritrovo subito immerso nella luce e nei colori
incantati dell’isola, e dopo un attimo di rilassamento mi dirigo deciso verso la
fila degli affittacamere che con i cartelli ed i depliant in mano aspettano i
turisti che scendono dai traghetti. L’idea di Amorgos mi era venuta parlando con
Dimitri, un ragazzo che viene in palestra con me, e che ha il papà greco, che
vive proprio in un villaggio nell’entroterra dell’isola. Una signora di nome
Stamatia mi propone la sua pensione Villa Katapoliani, a poche centinaia di
metri dal porto di Katapola, dove scelgo di pernottare per motivi logistici. La
camera è molto bella ed ha un bel balconcino in legno con i gerani rossi, dal
quale si intravede uno spicchio di mare. Contratto un pochino e per 30 € al
giorno mi sistemo nella camera. Stamatia è molto cordiale, mi racconta delle sua
famiglia, della figlia artista, che ha una galleria d’arte, e rimane inorridita
a sentirmi raccontare dei prezzi e degli eccessi di Mykonos. Amorgos è un’isola
lontana, al di fuori delle rotte più battute del turismo di massa, qui non
attraccano le grande navi da crociere che vomitano migliaia di turisti al
giorno; eppure il suo porticciolo è una vera delizia. Katapola sorge su una
splendida baia riparata dai venti, e quindi da migliaia di anni è l’approdo più
sicuro dell’isola; ci sono pescatori che ripongono le loro reti gialle, caffè
accoglienti, taverne, un supermarket e qualche negozietto. Katapola è affiancata
nella lunga e stretta baia da altri due piccoli villaggi, Rakhidi e
Xylokératidhi, ai piedi delle colline che circondano il mare, con piccole case
bianche a due piani e chiese disseminate un po’ ovunque, dall’imponente
parrocchiale di Aghios Ghéorghios a piccole cappelle affacciate sul mare. Passo
il pomeriggio ad esplorare a piedi il golfo ed i suoi paesi, aggirandomi nei
vicoli, con le belle porte in legno ed i fiori coloratissimi, inoltrandomi
all’interno tra campi dove si coltiva la vite e resti di insediamenti
antichissimi. Lascio la strada principale per arrampicarmi in cima alla collina
sulla quale si trovano i resti di una vecchia torre medievale di avvistamento o
forse di un mulino a vento. Non c’è un vero e proprio sentiero, ma devo
scavalcare i muretti a secco ed i cespugli della macchia mediterranea, in piena
esplosione primaverile di colori e di odori, tra cui quello dell’origano di
Amorgos, famoso in tutta la Grecia. Dall’alto si domina la baia di Katapola,
aperta sullo splendore accecante del mare Egeo, che si perde all’infinito
immerso nella luce mediterranea, punteggiato da una miriade di isole selvagge.
Ridiscendo la collina fino alla grande spiaggia di Aghios Pandelémonas, dove un
cartello avverte che è vietato fare del nudismo; la spiaggia è pressoché
deserta, a parte alcune donne greche che fanno il bagno. Alla fine della
spiaggia ci sono delle rocce e subito dopo, su una lingua di terra che si
protende sul mare, sorge una chiesa bianca con la cupola azzurra, che sembra una
nave pronta a salpare, come nella più classica delle cartoline dell’ente del
turismo della Grecia!
Mi metto il costume e mi tuffo per un bagno e
una nuotata nelle acque cristalline dello splendido golfo, neanche tanto fredde
se paragonate con quelle di Mykonos. Rimango ad asciugarmi sulle rocce, nel
silenzio più assoluto, prima di ritornare lentamente lungo un sentiero, che
costeggia dapprima il cimitero e poi svela nascosta, la piccola cappella
dell’Evanghélistria, di epoca bizantina. Alle 8 esco per la cena, è dalla
mattina che non mangio nulla; percorro nuovamente tutto il golfo fino a
raggiungere la zona dove avevo visto numerosi pescherecci con le reti stese, e
mi cade l’occhio su una
fish tavern, che
espone il pescato del giorno. Il proprietario si chiama Kostas, che ci tiene a
precisare che servono solamente quanto pescato dal loro peschereccio, ancorato
poco avanti; il posto mi ispira e mi siedo su un tavolino azzurro situato
proprio a bordo mare, dal quale posso ammirare ad ovest lo spettacolo del
tramonto sul mare, e ad est il sorgere della luna piena che sovrasta le colline
ai cui piedi sorgono i bianchi paesi e le chiese dalle cupole azzurre. Mentre
sono tutto preso a godermi il mutare del paesaggio al crepuscolo, arriva un
enorme piatto di pesci arrosto, solo per oggi proposti al prezzo di 7 €. Sono
l’unico avventore in compagnia solamente di un manipolo di gatti, che puntano
insolenti alle lische del mio piatto. Se solo penso che ieri sera, alla stessa
ora, ero nel posto più
cool di tutto il
Mediterraneo,
a ballare e sorseggiare raffinati cocktail
intorno alla piscina del Super Paradise!
12 giugno, Amorgos
Faccio colazione in un bel bar
sul porto, e mi reco da Thomas, con il quale avevo contrattato ieri sera il
noleggio per 2 giorni di uno scooter. Salgo in sella ad un rombante Piaggio Zip
e parto alla scoperta dell’isola; la strada si inerpica subito nell’interno
brullo e dopo soli 5 km giungo alla Chora la capitale medievale di Amorgos,
sovrastata dall’imponente Castro e dai resti dei mulini a vento. Mi fermo a
chiedere indicazioni per come raggiungere il monastero , e dopo pochi minuti
appare dall’alto la costa orientale, rocce enormi a strapiombo sul mare, un
paesaggio davvero selvaggio; mi fermo a fare le foto ed ammirare lo spettacolare
panorama per poi riprendere la strada asfaltata fino al bivio per il monastero
Khozoviotissa. Parcheggio lo scooter in un piccolo spiazzo dove mi si offre uno
spettacolo indimenticabile: perfettamente incastrato in mezzo alla roccia si
staglia la sagoma bianchissima del monastero, una fortezza inespugnabile, otto
livelli per non più di 5 metri di larghezza a diretto contatto con la montagna
che lo circonda, a guardia e protezione del mare infinito. Di fronte a tanta
bellezza, mi domando perché l’uomo abbia smesso di costruire i suoi edifici in
sintonia con la natura, di creare monumenti e contesti nei quali l’opera
dell’uomo è in perfetta armonia con ciò che lo circonda ed anzi lo integra e lo
abbellisce: l’edifico alto e strettissimo con il suo bianco accecante sulla
montagna, aumenta il fascino del luogo, e crea un contrasto in cui le rocce, il
mare e il monastero sono in perfetta simbiosi, così come l’uomo con il Dio che
ha creato quella natura selvaggia. Salgo attraverso una bellissima scala in
pietra, scavata nella roccia, che conduce a fatica dapprima sotto gli enormi
contrafforti per giungere fino all’ingresso del monastero, che si trova su una
piccola piazzetta affacciata sul mare. Una scala di marmo conduce ad una
porticina, sormontata da un antico arco veneziano, che introduce in un angusto
atrio, con un fonte battesimale affrescato con figure bizantine del Battista e
di Cristo. Qui bisogna anche cambiarsi per vestirsi in maniera consona al luogo
sacro, e lascio i miei shorts per i pantaloni lunghi che sono a disposizione
degli ospiti: una lunga scala porta in un primo locale, alla cui destra si
diparte un ulteriore scalinata che conduce alla chiesa interamente scavata nella
roccia. Mi accoglie padre Spiros, un monaco originario di Corfù, con il quale mi
intrattengo a conversare, nonostante i problemi linguistici. La tradizione narra
che il monastero fu costruito in seguito al ritrovamento, nella baia
sottostante, di un’icona della Panaghia, proveniente dalla città di Khozova in
Palestina, durante il periodo dell’iconosclastia (8-9 secolo). Rendo omaggio
alle tante icone ed opere d’arte presenti, e padre Spiros mi mostra con orgoglio
una bellissima pittura di San Michele Arcangelo, Mikalis, Mikalis!
Subito a destra dell’altare, si passa dalla
chiesa ad una piccola terrazza, con le bandiere della Grecia e l’aquila del
Monte Athos che sventolano su un panorama incredibile, con lo sfondo delle isole
di Astipalea e di Anafi. Padre Spiros, mostrandomi lo splendore del mare Egeo,
Thalassa, mi dice che l’affinità tra i popoli mediterranei nasce proprio
dall’energia che emana questo mare, e fa capire di non avere grossa simpatia per
i popoli nordici. Al termine della visita, accendo una candela in segno di
ringraziamento e poi un guardiano di nome Panaghiotis, mi accompagna in bella
sala sottostante, e come nella migliore tradizione del monachesimo ortodosso, mi
offre un bicchiere d’acqua, dei dolcetti ed un bicchierino di
rakomelo di
Amorgos, il liquore locale, a base di
acquavite, spezie e miele. Chiedo a Panaghiotis di poter visitare il tesoro del
monastero, ma mi dice che oggi i monaci sono tutti fuori, chi a badare alle
capre e chi a celebrare messa alla chiesa di sant’Onofrio, che si festeggia
proprio oggi. Tuttavia mi lascia il numero di telefono e mi invita a chiamare il
giorno successivo. All’uscita mi dirigo verso il sentiero che sale lungo la
montagna sopra il monastero e mi spingo sempre più in alto, tra le pietre ed i
cespugli fioriti, in estasi di fronte allo spettacolo delle rocce a picco sul
mare che mostra tutti i colori dal verde all’azzurro passando per il turchese,
le grand bleau!. Rimango in contemplazione
per un tempo indefinito, con il rumore in sottofondo del vento misto al suono
delle onde che si infrangono sugli scogli , prima di ridestarmi e riprendere il
cammino. La strada asfaltata ridiscende fino in fondo alla costa, dove si apre
la piccola spiaggetta di Aghia Anna, incastonata nelle rocce, un po’ come nelle
Cinqueterre, ai piedi di una piccola cappella bianca in puro stile cicladico.
Dopo una breve sosta decido di esplorare la zona meridionale di Amorgos, ed
imbocco la strada che percorre l’isola nella direzione di sud-ovest, seguendo
l’indicazione di Arkesini. Il paesaggio si presenta selvaggio e brullo, con la
strada praticamente deserta che corre in mezzo all’isola, permettendo di
ammirare le colline rudi, e scorci di mare che si aprono ad oriente e ad
occidente. La scarsissima vegetazione e gli ampi spazi deserti mi fanno quasi
sembrare di essere su un’isola sperduta della Scozia. Ci sono parecchie
indicazioni di siti archeologici, tombe ed acropoli protocicladiche; devio per
andare a visitare la torre di Aghia Triadha, del quarto secolo a.C. , ma la
strada è sbarrata da un cancello con lucchetti arrugginiti e posso ammirare solo
da lontano i grossi blocchi di pietra, perfettamente squadrati. Dopo aver
percorso circa 15 km, mi imbatto in una grossa chiesa, Aghia Paraskevi, che
costeggio, e poi la strada finisce in una spiaggia, la Paradissa, battuta dal
vento e protesa verso le onde del mare aperto; ci sono un paio di famiglie che
mangiano e dei ragazzi greci che si divertono a tuffarsi dalle rocce. Riprendo
la strada del ritorno e dopo pochi minuti di marcia mi imbatto in una taverna
con i polpi stesi ad essiccare al sole. Mi concedo una sosta per rifocillarmi e
mi siedo sotto un pergolato di bouganville. Dapprima provo il formaggio locale,
che la signora mi dice chiamarsi
malaka, che però
in greco è anche una parolaccia, traducibile come
asshole,
e poi mi lascio tentare da una specialità di Amorgos, la capra al limone ,
stufata con patate. Al termine mi viene offerto come dessert lo yoghurt locale,
con miele ed arachidi. Un pranzo luculliano per soli 15 €, prima di
rientrare a Katapola per andarmi a sdraiare in
spiaggia.
Alle 6 , sotto il sole del pomeriggio, riparto in
direzione della Chora per una prima visita della città, sfavillante di bianco
sotto il sole. L’antico abitato è molto suggestivo, e non si presenta
perfettamente curato e restaurato come la Chora di Mykonos, ma questo ne aumenta
il fascino. Percorro la via principale, pavimentata con grossi blocchi di pietra
irregolari; la strada sale lentamente verso la parte superiore del paese, tra
negozi di artigianato, abbastanza originali, bar con arredi d’epoca e taverne
molto accattivanti. Salgo fino alla sommità dell’abitato, dove al termine della
strada si trovano 4 antichi mulini a vento e sicuramente mai posto fu più
indovinato, visto che il vento mi fa letteralmente volare via.
Rientro a Katapola in tempo per il tramonto e
mi reco a piedi al mio
Stammtisch sul
mare, dove Kostas mi ha preparato la
kakavia,
la tipica zuppa di pesce dei pescatori di Amorgos. Mi viene servito
separatamente il brodo, nel quale è stato cucinato il tutto, e aromatizzato con
il limone, e a parte un enorme piatto di pesci ed uno di verdure. Una vera
prelibatezza locale, un accostamento di sapori davvero particolare. L’isola di
Amorgos fortunatamente mantiene le sue tradizioni e le sue peculiarità, ed i
suoi abitanti ne vanno fieri. Finito di mangiare rimango a chiacchierare a lungo
con Kostas, che mi racconta della vita in si concentra solo nei mesi di luglio e
agosto.
13 giugno, Amorgos
Mi alzo con molto comodo e me
ne vado a fare la colazione in una bella pasticceria nella piazza principale di
Katapola, osservando l’arrivo delle barche, i movimenti dei proprietari degli
yacht e la vita del piccolo porticciolo. In sella al mio scooter mi dirigo
nuovamente alla Chora, per un secondo giro esplorativo con la luce del mattino.
Parcheggio al solito posto nella piazza di ingresso e vado subito a visitare la
chiesa di Ognissanti, Aghii Pandès,
dall’interno bizantino a due navate. Alcune signore anziane stanno facendo le
pulizie di fino, sotto l’occhio vigile del Pope. Decido di dirigermi verso il
Kastro, il quartiere veneziano che si trova ai piedi di una collina rocciosa
alta oltre 60 metri, sulla quale si trovano i resti di un forte e di una
antichissima chiesa. Mi aggiro tra i vicoli disabitati come in un labirinto, tra
bellissime case medievali, scorci di mare, bouganville colorate e fiori
selvatici. Mi spingo fino alla chiesetta di Aghios Ghéorghios, dove c’è
l’entrata della fortezza, che però è sbarrata e quindi inaccessibile. Ridiscendo
verso la Chora, immerso nella luce accecante del mattino, che inonda i volumi
geometrici della case ricoperti di bianco abbagliante e ne delimita le forme
nitidissime e pure. Solo il blu ed il verde delle porte e delle finestre
interrompono la purezza delle linee e della luce, mentre il rosa ed il rosso dei
fiori risaltano sulle facciate, ed le siepi di bouganville si innalzano verso il
cielo che più azzurro non si può. Alle 11 in punto telefono a Panagiotis per
chiedere, come da sue indicazioni, la possibilità di visitare il tesoro del
monastero e dopo un po’ di tentennamenti mi viene accordato un appuntamento a
mezzogiorno. Percorro nuovamente la salita purgatoriale che porta all’ingresso
di Khozoviotissa, con lo spettacolo del mare e del luogo magico che fa
dimenticare il caldo e la fatica ,
vassi in san Leo e descendesi in Noli……
A mezzogiorno spaccato, indossati i pantaloni lunghi, sono da Panaghiotis, che
mi consegna a Periclis per la visita. Scendiamo in un sotterraneo attraverso gli
strettissimi locali, dove Periclis mi fa fermare mentre tira fuori un mazzo di
chiavi da nome della rosa, che aprono una serratura che introduce ad una
lunghissima stanza, dove in teche protette sono conservati i tesori. Comincio la
visita dal fondo dove ci sono i codici provenienti dalla biblioteca del
monastero: il più antico è un libro dei profeti del vecchio Testamento della
prima metà del 10 secolo, c’è poi un vangelo dell’11 secolo, decorato con
miniature a piena pagina di fattura bizantina. C’è anche un codice musicale
datato 1298, chissà che bello che sarebbe poter ascoltare questa liturgia
antichissima. E poi paramenti, reliquari, croci processionali, le vecchie porte
in legno del monastero, i sigilli; mi godo tutto questo ben di Dio da solo,
senza i turisti che rantolando si spingono fino a quassù. Finita la visita non
rifiuto un giro di acqua ,
rakomele e
dolcetti prima di rimettermi in cammino; ringrazio Panaghiotis e riparto per
esplorare la zona nordorientale dell’isola in direzione di Aighiali,
en percourant Aighiali,
come dice la mia guida in francese. La strada asfaltata corre abbastanza in
alto, e permette così di ammirare lo splendido panorama su tutto l’Egeo, con le
mille isole vicine e lontane, e le rocce che vi si precipitano. Presenza quasi
costante sono le capre che pascolano, e si spingono fino alla strada; passo la
bianchissima lingua di sabbia di Aghios Pavlos, che annega in un golfo dalle
acque cristalline, e dopo aver percorso 16 km dalla Chora arrivo nella baia di
Aighiali, dove sorge il secondo porto di Amorgos, in realtà ancora più piccolo
di Katapola e con un bellissimo fronte mare, molto animato. Mi fermo a fare un
po’ di spesa in un supermarket e compro della frutta per il pranzo, le
saporitissime albicocche di Amorgos ed all’una e trenta vado a sdraiarmi su una
lunga spiaggia bianca adiacente ad Aighiali, tutta orlata da grandi tamerici
salmastre ed arse,
dove poltrisco fino alle 5 del pomeriggio. Come ultima tappa della giornata
salgo per
alcuni chilometri sulla collina fino al villaggio di Tholaria, un gruppo di case
bianche distese sul pendio intorno ad una grossa Chiesa dedicata ai santi Cosma
e Damiano. Anche questo appare come un villaggio fantasma, con le case
perfettamente restaurate ed i pochi negozi che aprono non prima delle 6 del
pomeriggio; mi inoltro tra la vie, dove non c’è quasi nessuno in giro, e cammino
fino alla sommità del paese, dove c’è una bellissima vista su tutta la baia di
Aighiali e le montagne vicine. Ritorno verso Katapola lungo la stessa strada
dell’andata, non senza un’ultima sosta alla Chora, di cui sono letteralmente
innamorato, per comprare delle espadrillas blu che avevo visto la mattina in un
piccolo emporio sulla via principale. Alle 7,30 lascio lo scooter dal bravo
Thomas e me ne torno in camera. Per la cena avevo adocchiato una taverna in
fondo al porto che mi era sembrata la più greca di tutte nella sua spartanità:
polpette al sugo e pollo al limone per 15 €, mentre su una vecchia televisione
trasmettono i mondiali di calcio, Messico Camerun 1-0.
14 giugno, Koufonissi
Sveglia alle 5,15 di mattina per prendere il traghetto che parte alle 6; a
differenza del precedente è enorme con anche le scale mobili dentro; nonostante
il sonno, riesco ad ammirare lo spettacolo del sole che sorge su Amorgos e dopo
neanche un’ora di navigazione giungiamo a Koufonissi, nelle cosiddette piccole
Cicladi. In realtà le isole sono due Pano Koufinissi e Kato Koufonissi, che vuol
dire superiore ed inferiore, un po’ come Bergamo de Sura e de Sota….Al plurale
le due isole insieme sono in greco le Koufonisia. Pano è la sola abitata delle
due, Wikipedia dà 366 abitanti, ed il suo porticciolo è davvero microscopico, e
con la luce del mattino fa un effetto fantastico. A terra, sarà per l’ora, c’è
un solo affittacamere con il cartello, ma la stanza che mi fa vedere sulla via
principale del paese non è niente male e costa solo 20 € a notte. L’entrata è
attraverso un ristorante, Melissa, poi si attraversa un cortile pieno di gatti e
si sale per delle scale che conducono ad un ballatoio dove si affacciano alcune
camere, dotate di ogni confort, aria condizionata, wi-fi, frigorifero. Mi
sistemo velocemente ed esco a fare un giro di orientamento, facile visto che in
realtà tutto il paese si sviluppa su una unica via centrale, dove c’è la
farmacia, la biglietteria dei traghetti, i bar e le taverne. Ridiscendo fino al
porto per fare colazione nell’unica taverna aperta, dove alcuni anziani già
discutono animatamente; non riesco ad immaginare su cosa avranno da accalorarsi
delle persone che vivono qui tutto l’anno. Mi concedo una bella omelette
prosciutto e formaggio e continuo il mio giro fino ad un bellissimo mulino a
vento adibito a bar. Alle 9,30 quando ancora il paese non si è ridestato mi
dirigo a piedi verso la zona delle spiagge, lungo un sentiero che dal porto
costeggia il lato orientale dell’isola. Passato il paese ed alcuni alberghi , mi
incammino su uno sterrato che corre a bordo d’acqua, scoprendo fantastiche
spiagge di sabbia o di ciotoli levigati, alternate a speroni di roccia che si
gettano nel mare dai colori incredibili. Sembra di stare ai Caraibi, le spiagge
sono pressoché deserte, salvo una sulla quale si trovano alcune coppie di
anziani nudisti. Le spiagge si susseguono una più bella dell’altra, su baie dai
nomi arcaici di Finikas, Fanos, Italidha, e mi imbatto anche un in una piscina
naturale, dall’acqua color smeraldo, protetta dalle rocce. Dopo un’ora e mezzo
di camminata, quando il caldo comincia a farsi sentire, mi si apre la visione
della baia di Pori, con una spiaggia finissima a forma di un cerchio perfetto,
lunghissima e di un azzurro mai visto. Rimango incantato dalla visione e la
percorro tutta a piedi, andandomi a sdraiare proprio in fondo, dove sono
ormeggiate un paio di barche a vela. Situazione paradisiaca, anche se dopo
un’oretta arriva un caicco che scarica un manipolo di turisti, con bambini
rumorosi al seguito. Me la godo davvero, è una delle spiagge più belle che abbia
visto in vita mia, un posto indimenticabile. All’ora di pranzo mi vado a
rifocillare in una taverna sopra la spiaggia, e mi lascio consigliare
dall’ennesima Sofia, polpette al forno con patate. Per il resto è relax e
contemplazione nell’incanto del mar greco. Alle 16,30 faticosamente riprendo la
strada del ritorno, ed arrivato in paese noleggio una bicicletta per andare ad
esplorare l’altra costa dell’isola, quella di fronte all’isola di Naxos, che
però paesaggisticamente è meno interessante, anche se non manco di visitare il
porticciolo dei pescherecci ed il faro. Inoltre l’isola è meno piatta di quello
che sembrava, e nonostante le marce, scalare le salite è abbastanza faticoso.
Decido di rientrare in camera a riposare un po’ e mentre mi rilasso sul
poggiolo, vedo passare sulla strada una sposa, che si sta dirigendo verso la
chiesa, mentre le donne che l’accompagnano cantano all’unisono una canzone
tradizionale con degli intervalli ripetuti di quarta, il tutto sempre con lo
sfondo del mare Egeo. A cena mangio del polpo stufato con le cipolle e poi vado
al bar superfigo del mulino per il caffè. Ma il vero spettacolo è una enorme
luna rossa che sorge dal mare e lo illumina a giorno. Chissà perché fin da
bambino mi attrae tanto la luna? Sarà perché sono del cancro o sarà per via di
Leopardi, che era anche lui del cancro?
O moon
of Koufonissi, don’t cry but say goodbye!
15 giugno, Koufonissi
Mi svegliano i canti della
domenica che provengono dalla vicina chiesa di Aghios Georghios, mi vesto
velocemente e vado a fare colazione dal bar di Sofia, con terrazza vista mare.
Scendo in porto e compro il biglietto per il caicco che porta all’isola
inferiore di Kato Koufonissi, quella senza abitanti, senza auto e senza
elettricità. Si parte alle 11 e il tragitto dura una mezzoretta, durante la
quale converso piacevolmente con una coppia di ragazzi romani. Quasi tutti i
passeggeri scendono alla prima fermata sull’isola, quella di Taverna, mentre io
continuo per quella successiva, denominata Nero Beach. L’attracco è un po’
difficile, il capitano ci fa andare tutti a poppa per favorire l’approdo diretto
sulla spiaggia, un lungo arenile scuro, attorniato da rocce che ricorda
vagamente il finale del pianeta delle scimmie. Fatico un po’ a trovare il
sentiero che sale in cima all’isola, che voglio percorrere per riportarmi
all’inizio dove c’è la taverna. Esploro tutta la spiaggia fino a trovare un
passaggio che si inerpica tra le rocce in mezzo a numerose capre che stanno
pascolando e mi ritrovo in breve in cima ad una montagna ad ammirare il panorama
delle piccole Cicladi. Il sentiero procede in quota e attraverso un villaggio di
pietra abbandonato, ovunque capre e cespugli odorosi di macchia mediterranea.
Gli scorci che si aprono sull’isola sono molti belli e si possono vedere una
lunga serie di calette dalle acque trasparenti. Dopo una quarantina di minuti di
cammino, il sentiero scende fino alla baia di Dhetis, dove si trova una spiaggia
protetta da una recinzione di ferro. Riesco a trovare il modo di passare e mi
stendo a riposare sui bellissimi ciottoli bianchi della baia incantata. Ci sono
solo io e due donne nude, che sembrano essere madre e figlia; quest’ultima è
bellissima, con lunghi capelli ricci di color oro; potrebbe essere Nausicaa ed
io Ulisse, visto che non mi rado da quando sono partito! Rimango in
contemplazione assorto nei miei banali dubbi esistenziali: perché è così
difficile essere felici? Cosa ci impedisce di vivere in armonia con noi stessi e
con gli altri? Perché quando siamo in Paradiso non ce ne rendiamo conto e
continuiamo a cercarlo altrove? Quando sono le 4 mi rimetto faticosamente in
cammino per tornare in tempo al traghetto, percorrendo l’ultimo tratto di strada
che mi separa dall’approdo. Per fortuna poco prima del molo c’è la taverna di
Venetsanos. E’ difficile immaginare un posto più accogliente e più autentico, il
grande pergolato, i muri in pietra con l’intonaco bianco, le tovaglie di carta
bianco e azzurre, il poster di Che Guevara. In questi posti non ti senti mai uno
straniero, ti accolgono con il sorriso e con il rispetto che si deve all’ospite.
Quasi non mi accorgo di uno scricciolo di bambina che giace in uno stato
avanzato di rachitismo su una sedia a rotelle, probabilmente la figlia dei
proprietari. In mezzo alla grande bellezza delle isole, l’impatto con la
sofferenza e la malattia mi riporta per un istante al mondo reale e ai miei
stupidi dubbi esistenziali. Mi lascio consigliare e mi viene servita un enorme
porzione di capretto al forno con le patate! Il dessert e due bicchieri di
rakomelo
sono come al solito offerti dalla casa. Alle 17,30 devo correre per prendere
l’ultima barca che rientra, e come arrivato all’isola superiore vado a piedi
fino alla spiaggia di Fanos per godermi le ultime ore di sole fino al tramonto,
quando vado al bar superfigo del mulino per sorseggiarmi un italianissimo
spritz!
16 giugno, Naxos
La
giornata è favolosa, se non avessi già comprato il biglietto per il traghetto
sarebbe di starsene tutto il giorno sdraiato a cazzeggiare a Pori bay. Vado a
fare colazione sulla terrazza di Sofia, ed essendo come al mio solito molto in
anticipo mi godo la tranquillità del momento. Mentre mi gusto lo yoghurt con il
miele, non posso fare a meno di ammirare la grande bouganville che arriva fino
al tetto, ed i piccoli vasi tutti ordinati ed in fila con i gerani e le piante
aromatiche. La bellezza è nelle piccole cose, ogni minimo particolare sembra
essere lì per caso, ma curato nel minimo dettaglio: i colori, le ante delle
finestre dipinte con le sirene, i tavolini in legno. C’è anche una dolce brezza
che mi accarezza e mi ammalia: non voglio tornare al mondo, alla quotidianità,
agli affanni della vita di ogni giorno. Alle 10,30 parte il traghetto per Naxos,
e come entro nel ventre del Seajet bianco, con il delfino blu, mi riechieggiano
subito le note di una delle mie opere preferite:
Ariadne auf
Naxos, Herr.
Sie ist
das Sinnbild der menschlichen Einsamkeit; nichts um sich als das Meer, die
Steine, die Bäume, das fühllose Echo.
Arianna a Nasso, o
Signore, il simbolo della solitudine umana. Null’altro intorno a lei che il
mare, le rocce, gli alberi e l’eco senz’anima…. Sceso dal traghetto, mi ritrovo
nell’affollato porto della Chora, e mi lascio convincere da un taxista, che mi
propone una stanza in città per 30 € inclusa la colazione. Nasso è l’isola più
grande delle Cicladi, e mi ritrovo in mezzo al traffico in un contesto più
urbano e quindi caotico delle incantevoli Amorgos e Koufonissi. La stanza non è
male, ma affaccia su una strada rumorosa e trafficata. La posizione è ottima, a
soli 5 minuti dal porto e poi non ho voglia di andare in giro a cercare
dell’altro. Mi sistemo, prendo informazioni e consigli turistici dal taxista, ed
esco per il consueto giro di orientamento. Cerco tutti i punti di riferimento
fino ad arrivare sul lungomare dove compro il biglietto dell’ultimo traghetto
per Mykonos e una guida dell’isola in una bella libreria. Sulla via del ritorno,
poco prima della pensione, mi fermo a noleggiare uno scooter da utilizzare
questi giorni. Il titolare del noleggio sta parlando tramite Skype con il figlio
che lavora in Germania. E’ molto gentile e mi faccio convincere ad affittare un
Kymko made in Taiwan invece del solito Piaggio made in Italy. Vista la giornata
caldissima ed afosa, decido di trascorrere il pomeriggio in spiaggia e mi dirigo
verso la baia di Aghia Anna.
Uscendo dalla Chora, attraverso delle saline,
dai colori molto belli, e gli aironi con lo sfondo delle case bianche del paese.
Dopo circa 5 km arrivo alla spiaggia. C’è una piccola cittadina balneare, con
tutti i servizi per i turisti. Mi fermo al supermercato Aspasia, davanti
all’hotel Despina, per comprare acqua e frutta:
Mozart e Leopardi, che accoppiata, ormai una
presenza fissa in questo viaggio, anche se mi sarei aspettato Zerbinetta invece
dell’intrigante servetta napoletana. La spiaggia è lunghissima, si estende
ininterrotta per qualche chilometro di sabbia finissima ed acqua turchese.
Parcheggio lo scooter e mi dirigo verso il fondo della baia; dopo una bella
camminata decido di concedermi il lusso di un lettino per soli 3 € e mi godo in
tranquillità il caldo pomeriggio di giugno. Verso le 7 rientro in paese per
andare a visitare l’isoletta di Palatia, collegata alla Chora da una strada,
dove si erge il simbolo dell’isola, l’imponente Portara, l’enorme porta di
accesso del tempio di Apollo, direzionata proprio verso l’isola di Delo, 4
blocchi di marmo di oltre 6 metri di lunghezza, che proprio per il loro enorme
peso sono scampati alle distruzione dei secoli ed al loro riutilizzo negli
edifici del Kastro. Il luogo è magico e salgo in cima all’isola, dove la vista
spazia sulla Chora, sull’isola di Paros, e sui pescherecci che rientrano in
porto mentre il sole tramonta Mi aspetta una bella cena sul lungomare, ancora
illuminato dalla luce rosata, in un ristorante che si chiama Popi’s grill,
gestito da 2 sorelle che ricordano un po’ la sora Lella, che si vantano di
essere la più antica famiglia a gestire una taverna a Naxos. L’orata alla
griglia è freschissima e l’accompagno con assaggi di formaggio locale. Per tirar
tardi, mi faccio anche una
crepes alla
Nutella in un bar sull’affollatissima passeggiata, in mezzo a taverne che
espongono polpi e pesci appena pescati e lo struscio dei turisti di tutte le
nazionalità.
17 giugno, Naxos
Alle 9,15 parto per il giro in
scooter della grande isola di Nasso, secondo un itinerario che mi aveva
consigliato il taxista,
e come prima destinazione punto al santuario di
Demetra, quasi al centro dell’isola; mi dirigo fuori dal caos della Chora e
prendo verso l’interno in direzione di Galanado, un paese che sembra come al
solito quasi disabitato. Mi inoltro sempre più nell’entroterra, nel paesaggio
collinoso, che a differenza delle altre Cicladi che conosco è ricco di
vegetazione e di coltivazioni agricole. Lungo la strada ci sono molte
testimonianze artistiche delle dominazioni che si sono succedute sull’isola,
micenei, bizantini, veneziani, turchi. Mi fermo ad ammirare la torre di Belonia,
dimora di un notabile veneziano e proseguo seguendo le indicazioni per il
santuario, che mi costringono a deviare dalla strada principale. Il tempio sorge
su una collina al centro di una vallata da sempre riccamente coltivata, da cui
la necessità di dedicare un santuario a Demetra, dea della fertilità. Lascio la
moto e salgo per un sentiero bordato dagli oleandri che in breve conduce in cima
alla collina dove si ergono i resti del tempio risplendente sotto il sole nel
suo marmo bianco. Il tempio risale al 530 a.C. ed è molto importante proprio
perché realizzato tutto in marmo e perché modello per la perfezione di tutte le
costruzioni classiche ed edifici delle Cicladi. Il luogo è suggestivo, la vista
spazia all’infinito ed il silenzio è rotto solo dal frinire delle cicale. Nelle
vicinanze sorge un piccolo ma interessante museo, ad ingresso gratuito, con i
resti del tempio, in particolare statue, pezzi originali del tetto, Nei primi
anni del cristianesimo il tempio fu trasformato in una basilica paleocristiana,
di cui sono esposti i capitelli su i quali era stata scolpita una croce greca.
Riprendo
la strada, passo un piccolo paese con le case in pietra alla fine del quale vedo
una indicazione per la chiesa di Aghios Nikolaus; percorro uno sterrato e dopo
qualche chilometro appare in mezzo agli ulivi e alla campagna un edificio
bizantino in pietra con una cupola che ricorda la Cattolica di Stilo in
Calabria. E che purtroppo non si può visitare all’interno dove dovrebbe esserci
un interessante ciclo di affreschi. Riprendo la strada, ma dopo pochi minuti
sono di nuovo a fermarmi, attratto dalla Bazeos Tower, un edificio del 17 secolo
che domina il paesaggio, nato come monastero della Santa Croce, e poi diventato
appannaggio della famiglia Baseggio. La torre è stata recentemente perfettamente
restaurata, ed è adibita a galleria d’arte. Ho l’occasione di visitare la mostra
del fotografo ateniese Costis Antoniadis, che ha inserito grandi immagini di
figure umane negli spazi scenografici dell’edificio. Quelli al piano terra hanno
le murature a vista, e mi ricordano la mia bella casa dove vivo sulle alture di
Noli, così come la terrazza all’ultimo piano, con la vista che spazia sul
bellissimo paesaggio circostante. Riprendo il giro fino al paese di Halki, molto
bello, affollato di turisti, con ricchi edifici neoclassici, una piazza dove
stanno arrostendo un capretto, una antica distilleria dove si produce il
Kitron,
una specie di limoncello locale, la torre di Gratsia, antica fortezza veneziana,
e molte chiese. Rimonto in sella fino al paese di Filoti, dove sulle strada
principale un grandissimo platano fa ombra alle taverne, piene di avventori che
gustano le specialità locali, in particolare agnello, capretto e carni alla
griglia. Il paese è tutto arroccato sulla collina sovrastante, e sotto il sole
cocente di mezzogiorno mi incammino in salita tra i vicoli e le case bianche, e
mi trascino passo dopo passo fino in alto dove il paese finisce, senza però
trovare nulla di davvero interessante o che mi colpisca l’attenzione. Accaldato
e sudato, continuo il mio giro, sono esattamente al centro dell’isola, sotto la
montagna di Zeus, che con i suoi 1.000 metri costituisce la vetta più alta delle
Cicladi, legata al culto del re degli dei greci; il paesaggio è davvero
incredibile! Prossima tappa è Apeiranthos, un paese antico, che sorge ai piedi
del castello eretto dai veneziani,
detto
il paese di marmo, perché tutte le strade sono lastricate con grossi blocchi di
marmo, così come molte case e palazzi, il tutto con evidente influenza
veneziana. E’ bello aggirarsi tra i suoi vicoli, nelle piazze e nelle stradine
piene di caffè, taverne e negozi di artigianato, tra scorci di paesaggio
sull’isola che si aprono all’improvviso tra le case. I ristoranti sono molto
invitanti, con grandi terrazze panoramiche, ma visto il caldo torrido preferisco
dirigermi verso il mare e punto diretto verso l’estremità più settentrionale
dell’isola, quella più selvaggia. Mi imbatto in un grosso parco eolico, con ai
piedi un vecchio mulino a vento, come a dire l’antico con il moderno mentre il
paesaggio si fa sempre più aspro, la strada stretta e tortuosa ed il traffico
quasi inesistente. Curva dopo curva il percorso si fa lungo ed il mare sembra
sempre lontano; per ingannare il tempo mi metto a cantare la mia amata Arianna,
Lieben,
Hassen, Hoffen, Zagen, Alle Lust und alle Qual, Alles kann ein Herz ertragen,
einmal um das andere Mal, tutto può
sopportare un cuore, Amore, Odio, Speranza , Timore, ogni piacere ed ogni
tortura, una volta e un’altra volta ancora. Intorno alle 14 giungo finalmente in
prossimità del mare e scendo fino al microscopico paese di Apollonas, una
piccola spiaggia bianca, con qualche peschereccio ed una taverna dai tavoli
azzurri affacciati direttamente sull’acqua del mare. Mi gusto, al fresco, una
insalata di polpo e un piatto di triglie, appena pescate, fatte arrosto sulla
griglia. Dopo un’oretta riparto e mi immergo in un paesaggio particolarmente
bello, fino a raggiungere Capo Stavri, il punto più settentrionale di Naxos,
dove la vista spazia sul mare aperto, azzurro fino all’inverosimile, sulle rocce
e su spiagge deserte. Una sosta per fotografare la diroccata torre di Aghia e
poi via lungo la costa nordoccidentale, ricca di insenature e scorci di mare.
Avvisto dall’alto la lunga spiaggia bianca di Ammitis, e scendo lungo il
sentiero sterrato per un po’ di relax ed un bagno ristoratore. Sulla strada del
ritorno faccio l’ultima deviazione al monastero femminile Chrisostomou, una
costruzione fortificata sul pendio della montagna, che è purtroppo chiuso , ma
dal quale si ha una vista strepitosa sulla Chora e sull’isola di
Palatia in controluce.
Riconsegno
lo scooter ed alle 8 mi reco a piedi alla Portara, per godermi il tramonto
dall’alto dell’isola. Le nubi
basse sull’orizzonte impediscono di vedere la
palla rossa del sole che si inabissa dietro l’isola di Paros, e gruppi di
turisti italiani rumorosi rompono l’incanto del luogo. Percorro il lungomare in
cerca di un ristorante che mi ispiri ed alla fine decido di recarmi in
all’interno del paese, dove avevo notato Nostimon Hellas,
Creative Greek and Mediterranean Cuisine!
Il posto è molto accattivante e la cena davvero notevole, con un petto di pollo
agli agrumi da ricordare. Per finire oltre al dessert mi viene offerto il
Kitron, il liquore distillato ad Halki dalle foglie e dai frutti del cedro. Dopo
questa intensa giornata me torno in albergo per connettermi al mondo virtuale di
Internet; chissà se Arianna, senza fili, ma con il solo wi-fi sarebbe riuscita a
salvare l’ingrato Teseo dal Minotauro!
18 giugno, Mykonos
L’ultimo giorno a Naxos lo dedico alla visita della Chora, esco alle 9 quando la città è ancora addormentata, i negozi chiusi e le facce assonnate. Scendo fino in porto, per poi salire attraverso i vicoli bianchi fino al Kastro, il castello veneziano che domina la città. Entro dalla più meridionale delle tre porte di accesso alla Cittadella, in un dedalo di viuzze e stradine in salita, tra archi di varia fattura, capitelli, colonne e marmi provenienti dal tempio di Apollo utilizzato per costruire gli edifici della città. Mi ritrovo nella piazzetta dove sorge la cattedrale cattolica, di uno splendente bianco cicladico. Nell’interno molto suggestivo risalta la grande icona della Vergine con il bambino, dell’undicesimo secolo, la sola a presentare la Maria a figura tutta intera con in braccio Gesù, detta l’icona galleggiante, perché anche questa giunta via mare da Costantinopoli nel periodo iconoclasta. Nella navata di sinistra una grande rappresentazione dell’Arcangelo Michele che tiene con una mano la spada e con l’altra la bilancia con la quale pesare i peccati. Accendo una candela votiva e poi mi reco nel vicino museo archeologico, che si trova in un bellissimo edificio che ospitava la scuola fondata dai Gesuiti nel diciassettesimo secolo. Di particolare interesse sono il grande mosaico posizionato sulla grande terrazza e la collezione di statuette cicladiche di marmo, risalenti al 2.800- 2.300 a.C. dalle figure allungate e stilizzate, come in un design modernissimo, che sembrano uscite dalle mani di Modigliani o Giacometti. Accanto al museo si può visitare l’antica cappella del duca veneziano Marco Saredo, che nel 1207 fondò il ducato dell’Egeo con sede a Naxos. Una brillante madame francese, di nome Catherine, la tiene aperta al pubblico e mi illustra tutta la storia del luogo con particolare entusiasmo per gli interventi svolti nei secoli dai suoi compatrioti. Scendendo verso la porta principale di accesso al Kastro, mi imbatto nel museo veneziano, ossia la Domus Della Rocca Barozzi, un palazzo del tredicesimo secolo, adiacente alla Trani Porta, entrata principale a nord, con le porte di legno ancora perfettamente conservate; visito l’interno della casa, il piano principale e quello interrato con le collezioni della famiglia, che ancora oggi lo abita in parte. Un ultimo salto al Museo Bizantino, se non altro per l’ingresso gratuito, da ricordare per la torre e la bellissima terrazza sulle mura, affacciata sul mare di Naxos e sulla Portara. Ridiscendo attraverso i vicoli nella città e vado fino alla Metropolis Square, centro religioso dove sorgono molte chiese, tra cui la cattedrale ortodossa, con all’interno enormi colonne di granito verde, oltre alla consueta collezione di icone sacre. Dopo tanta cultura mi diverto a bighellonare nell’old market, un susseguirsi di negozietti per turisti di non eccelsa qualità e mi concedo una pausa dal caldo opprimente al café Kitron. Vado a preparare per l’ultima volta lo zaino, e in attesa del traghetto mi gusto un ultimo calamaro grigliato direttamente sul porto, nella taverna Smirnenko, ossia di Smirne. Alle 4,30 arriva il traghetto che mi riporta a Mykonos, giusto in tempo per andare a radermi dal barbiere in centro, e prepararmi per la festa di stasera in onore di Chryssoula. Alle 8 siamo tutti sulla terrazza del Pelican per il sunset party, dove le signore greche hanno allestito un grande buffet con tutte le loro specialità culinarie e ci intratteniamo tra brindisi e chiacchiere fino a tarda ora come vecchi amici; è proprio vero il proverbio: italiani e greci una razza una faccia!